MOSTRA  
"ARCHIPENSIERI"
Presentazione del gruppo "Ark3P" della mostra Archipensieri alla Fondazione Piaggio di Pontedera

 

 

La Fondazione Piaggio a Pontedera  propone per la prima volta in Italia una mostra antologica dell’opera di Gianni Pettena. La mostra ne presenta il lavoro come artista, architetto e designer, attraverso video, documenti d’archivio, fotografie e disegni delle sue performances, installazioni, e oggetti di design dalle prime realizzazioni degli anni sessanta ad oggi.

Laureato in architettura all’Università di Firenze, Gianni Pettena è stato, alla fine degli anni sessanta, uno dei primi e più importanti rappresentanti della ‘architettura radicale’, movimento che in Italia  riunì un gran numero di personalità di rilievo (da Ettore Sottsass a Alessandro Mendini, da Superstudio a Archizoom Associati), e che si proponeva di operare “una riforma radicale di tutta la disciplina architettonica” (Ugo La Pietra).  Pettena sarà in seguito anche uno dei fondatori della ‘Global Tools’, contro-scuola di architettura e design (Milano 1974-1976), un progetto a cui collaborarono i maggiori esponenti del movimento radicale italiano.

Artista che ricorre al linguaggio architettonico e architetto che si appropria delle logiche artistiche, Gianni Pettena continua tuttora ad operare nell’uno e nell’altro campo, rifiutando i confini tra le discipline, fedele all’originaria definizione di “anarchitetto” (Gianni Pettena, L’anarchitetto, Guaraldi,1973) e per un “architettura ove le ricerche specifiche delle arti visive, concettuali e linguistiche, si trascrivono in architetture a forte valenza poetica e rigorosa innovazione formale: un'architettura per la mente non attardata da sterili dibattiti di legittimità disciplinari ma aperta invece a pensare e connotare i territori della fisicità ambientale in forti espressioni di pensiero e intensità emozionali”.

Il suo lavoro sperimentale degli anni settanta si colloca tra l’arte concettuale e la land art, con una metodologia in cui i concetti si confrontano sempre con una fisicizzazione e vengono ricondotti alla scala del corpo o del contesto, sia esso naturale o urbano.  All’inizio degli anni settanta Pettena si reca negli Stati Uniti dove realizza le sue performances più radicali.  Lì incontra Robert Smithson, protagonista della land art, e espone alla galleria John Weber di New York un filmato sulla sua lettura stratigrafica, tra materia e architettura, del paesaggio del deserto.

Il lavoro di Pettena infatti esplora le relazioni tra natura e architettura, e la maggior parte degli interventi di quegli anni mirano a rinaturalizzare un’architettura  ‘devitalizzata’. Così, nel 1971, a Minneapolis, in una gelida notte d’inverno, Pettena versò dell’acqua su una vecchia scuola che si ricoprì interamente di una ‘pelle’ translucida di ghiaccio così da rendere visibile la dimensione naturale, fisica, dell’architettura (Ice n.1). L’architettura era stata riportata al suo status originario di materia, ma, nello stesso tempo, la sua immagine perdeva di consistenza.

 

Questi interventi radicali esplorano la linea di demarcazione tra la fisicità della materia e l’architettura.  Per Pettena  la natura è una ‘costruzione’, una ‘architettura inconscia’, mentre l’architettura deve ritrovare un modo per ‘rinaturalizzarsi’ per poter raggiungere un’altra dimensione percettiva e temporale.

“Il mondo delle arti visive intraprende così autonomamente il proprio percorso di ricerca: ciò che originariamente viene definita 'land art', 'conceptual art' e oggi viene chiamata arte ambientale”. Pettena ha saputo rimettere in discussione il progetto moderno, collocandosi -unico in Italia- in una posizione interlocutoria sia con le ricerche architettoniche più avanzate che con  le tendenze artistiche ( Land Art, Arte Concettuale , Body Art). Contrariamente agli ex-compagni di strada dell'Architettura Radicale, ha voluto però evitare le lusinghe dell'avanguardia la quale è sempre costretta a diventare manifesto e ad assumere un linguaggio comunicabile. Le grandi dichiarazioni degli anni '60, da statements autonomi, sono finiti per essere assorbiti nel consumo informatico della società dello spettacolo. Pettena ha invece scelto di non fissare il suo pensiero in un mezzo espressivo unitario ma di restituire l'architettura alla complessità del mondo, operando su spazi pubblici e paesaggi esistenti con performances ed interventi temporanei il cui comune denominatore è l'interattività ambientale. Per fare questo, ha rinunciato alla routine della pratica professionale, alla riconoscibilità delle mode promosse dalle riviste e a un'effimera notorietà. Ha guadagnato però una grande libertà operativa che rende il suo lavoro attualissimo in un momento storico in cui, nel mondo dell'architettura e dell'arte, qualsiasi messaggio viene immediatamente normalizzato e costretto a una piatta ripetizione di sé.

La ricerca di Pettena si colloca oltre la dialettica dell'avanguardia e la produzione di linguaggi autonomi, orientandosi verso uno spostamento continuo di premesse, modalità operative e mezzi comunicativi. È come se l'architettura, costante sfondo della sua ricerca, non potesse trovare esito vitale in alcuna prefigurazione progettuale o costruzione definitiva.

Viene invece ritrovata nell'ambiente naturale e nei comportamenti collettivi come energia, processo, scarto, dispersione. Non può essere frutto di un'intenzionalità coerente che rimane chiusa all'interno delle proprie premesse e finisce per scontrarsi con la realtà come nel progetto moderno. È invece differenza, energia residua, quell'entropia che Pettena condivide con l'amico Robert Smithson e che assume come atteggiamento di ricerca, andando a esplorare tutta una serie di territori-limite per attivarli. Egli non si pone come ordinatore dei luoghi ma come scopritore di tracce e disseminatore di indizi. Il paesaggio non è tabula-rasa da iscrivere e non ha neanche la dimensione eroica di certa Land Art: è invece un ambiente altamente compromesso dall'uomo dove lo scarto tra intenzioni ed esiti (spesso ecologicamente disastrosi) deve essere esplorato. Pettena condivide con Smithson l'interesse per i luoghi di risulta, le periferie, le discariche, le infrastrutture del Tour of the Monuments of Passaic, NJ. Invece di proiettare grandi segni artificiali sul terreno, sceglie di sottoporre l'architettura a processi trasformativi "naturali" che ne minano la permanenza.
Nei suoi interventi americani degli inizi degli anni '70, la Clay House e la Ice House, Pettena ricopre rispettivamente di fango e di ghiaccio due banali residenze unifamiliari suburbane. James Wines a proposito parla di de-costruzioni dell'architettura, paragonandolo a Gordon Matta-Clark. Mentre quest'ultimo rimuoveva intere porzioni di edifici rivelando ambienti precedentemente segregati, Pettena ricopre invece l'architettura con un nuovo strato materiale. Il nascondimento è rivelatore ma impermanente: si secca, si scioglie o viene disperso dal vento come nel Tumbleweed Catcher, struttura ricoperta di arbusti. Al contrario degli epici gesti di Smithson e di Matta-Clark, Pettena configura un ambiente metamorfico dove la critica dell'architettura avviene attraverso l'auto-dissoluzione degli interventi di configurazione spaziale e la loro riduzione a processi non appropriabili.

Questo autonegarsi a un'immagine definitiva è esemplare: in fondo, il limite della Land Art è la mancata ricomposizione tra il volere essere site-specific e la sua diffusione attraverso immagini riproducibili. Pettena invece risolve in partenza qualsiasi tentazione iconico-monumentale operando parallelamente su due fronti: la messa in atto di eventi energetico-trasformativi e il coinvolgimento del pubblico che attiva l'ambiente. L'autore-artista fa un passo indietro: il luogo è protagonista, si auto-innesca ma è anche elusivo. La descrizione del paesaggio non è mai conclusiva in Pettena: la circoscrizione del limite della città con una linea di vernice rossa in Red Line (1972) non è mai visibile nella sua interezza e testimonia l'impossibilità di "chiudere il cerchio" (come invece fa ancora Richard Long). I non-sites di Smithson non diventano più rappresentazioni da posizionare in un museo ma segreti personali da portarsi via con sé in valigia, come le silhouettes delle montagne di Paesaggi della Memoria del 1987 e le fotografie e disegni di Already Seen Portable Landscapes del 1973. Il Veiled Landscape di Mary Miss, elegante apparato di diaframmi visivi, trova un'irriverente parallelo nella Laundry di Pettena del 1969 dove sono i vestiti appesi ad asciugare a velare la piazza principale di Como con una provocatoria inversione tra spazio pubblico e rito privato. Dan Graham ha giustamente scritto che la differenza tra il Minimalismo (e in esso includeva anche certa Land Art) e i movimenti cosiddetti Post-Minimalisti degli anni '70 sta nel fatto che mentre il primo cercava di oggettivizzare tutto (anche il paesaggio), i secondi hanno restituito una dimensione individuale e partecipativa all'approccio verso l'ambiente. Con le sue performances e interventi negli spazi pubblici, Pettena si colloca decisamente in questa seconda linea, vicino ad artisti proprio come Graham ma anche Vito Acconci, Dennis Oppenheim e Bruce Nauman. Situazionista e provocatorio, sperimenta la sovrapposizione di una certa supergraphics all'ambiente urbano trasformandola in monumento effimero: le bande nella loggia di Arnolfo di Cambio a San Giovanni Valdarno (1968) sottolineano il partito delle arcate nascondendolo; le gigantesche lettere che formano le scritte Carabinieri e Grazia e Giustizia (1968), sono portate via a piedi e poi buttate a mare con chiaro intento antiautoritario. In alcuni casi, gli basta la semplice registrazione di un messaggio nello spazio urbano, una provocatoria rilettura per liberare significati nascosti nell'ambiente: in Some Call Him Pig (1971), la fotografia di un cartellone raffigurante un poliziotto che fa una respirazione bocca a bocca a un bambino e un messaggio che cerca di controbattere alle critiche che avevano investito la polizia durante la contestazione studentesca, vengono reinterpretati con una velata allusione alla pedofilia come pratica tacitamente L'esploratore ambientale non ha tolto o aggiunto nulla: è semplicemente cosciente della non neutralità di qualsiasi rappresentazione e la usa come nuovo overlay sull'ambiente, giungendo a un quasi-nulla ben diverso a quello del Minimalismo.

 

 Il corpo -la sua dimensione tattile, sessuale, politica- è usato dall'artista-architetto in prima persona in una serie di performances in cui si mette lui stesso in gioco a diretto contatto con l'ambiente: Pettena ricoperto di vernice fosforescente che nuota nei canali veneziani, Pettena gradualmente inondato dalla marea del Tamigi mentre pronuncia un discorso polemico sull'architettura immerso nell'acqua. In entrambe, il senso di impermanenza, pericolo e potenziale autoannientamento già presenti negli interventi architettonici sono reiterati annullando le barriere tra autore, opera e pubblico. Ma il corpo è anche giocoso costruttore di un luogo collettivo in Paper (1971) dove il pubblico viene immerso in una stanza dal cui soffitto pendono infinite strisce di carta ed è invitato a comporre i propri percorsi strappandole. È inoltre anello di unione tra spazio e oggetti e proprio qui Pettena opera la sua critica all'industrial design proponendo appendici-protesi del corpo e non più arredi d'immagine. Vestirsi di sedie del 1971 e la poltrona Ombra del 1985 propongono sedute appese al corpo che si muove, il quale può configurare un insediamento nomade ovunque si fermi. Il divano Rumble del 1967 diventa ricettacolo attivato dal corpo che cambia forma con i nostri spostamenti. Gli oggetti acquisiscono così un'autonomia dallo spazio, dal progettista e dalla produzione di serie che va ben oltre la mistificazione dello user-friendly proposta dal mercato. Anche qui sono presenti il flusso, l'evento, l'energia, la dissoluzione che attraversano tutta l'opera in mostra.


Pettena anarchitetto continua a parlare di architettura da inaspettate prospettive: da un oggetto, da una foto, da un tappeto, da un prato, dalla propria posizione in un determinato punto e a un determinato momento ma anche Pettena critico, scrittore, ricercatore della storia del paesaggio, e comunicatore. La mostra alla fondazione Piaggio condensa in un festoso collage più di tre decenni di volontaria anti-carriera, di attività critica promossa da una posizione interstiziale tra discipline e ruoli. Pettena è la cattiva coscienza di un'architettura diventata troppo autoreferenziale perchè dimostra che ci si può anche divertire a fare il "mestiere dell'architetto".

 Gruppo Ark3P

 

 
  Gruppo Ark3P [ www.ark3p.it ]  

Gruppo di lavoro formato nell’aprile del 2000 a Firenze da 3 giovani laureati in Architettura uniti dalla medesima concezione della realtà. Una realtà-mare dove non ci sono punti fermi, dove tutto è in movimento e si rimette in gioco, dove perdersi per poi ritrovarsi. 

Allestimenti di mostre a Firenze, Pistoia e Carrara, vengono selezionati con il video-Art “516Mb” alla St. Leopolda in concomitanza della manifestazione WEB CITY.

Ricevono al Salone del Mobile di Milano 2002 una menzione d’onore per il concorso internazionale di design “Green Home” con il progetto Ottomanix.

Realizzano video per eventi multimediale presso il negozio Nerbi Arredamento. Carrara.

Collaborano con lo studio Ricerca&Comunicazione alla proiezione video alla Defence di Parigi per la mostra internazionale del tessuto “Premiere Vision”.

Collaborano con Luciano Pallini, Direttore del P.M.I. (promozione del mobile imbottito) per la realizzazione del sito www.fabbricadeldesign.it

Ricevono il primo premio al concorso di architettura “una fontana per Potenza” in collaborazione con enrconieristudio.

Luca Pattina, Luca Pieracci, Irene Pini.     

 

Pubblicazioni sul Web: 

http://www.newitalianblood.com

 

http://www.artegiovane.it/ope_mese.asp

 
 

http://www.internetfiesta.it/home.htm

 
 

http://www.professionearchitetto.it/segnalazioni/index.asp?tipo=8&pag=5

 
 

http://www.portalegiovani.comune.fi.it

 
 

http://www.museodelmobile.it/museodelmobile/DesignersinRete.asp 

 
     

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