IN UN MILIONE DI PICCOLI PEZZI
Perché? Perché si vive di vuoti e di pieni?Perché
la vita non è mai come la vorremmo?Perché non guardiamo dentro di noi.
L’ho divorato questo libro come non mi capitava
da tempo, perché è scritto in maniera scorrevole, perché è appassionante, crudo,
un pugno nello stomaco, uno schiaffo improvviso.Perché la vita schiaffi te ne da
tanti,inaspettati e molte volte invece cercati. Ma anche in quelli c’è sempre un
elemento di sorpresa, perché pensi che le cose si possano sistemare, che tutto
si può aggiustare e invece no .“In un milione di piccoli pezzi” ecco come ti
senti quando tutto quello che hai fatto, oppure quello per cui hai combattuto,
hai dato l’anima, hai fatto sacrifici scompare, svanisce, si frantuma. Una
sensazione di impotenza ti pervade, l’incapacità di creare qualcosa, di pensare
al quotidiano perché la tua mente è troppo occupata dal momento stesso che stai
vivendo. Figuriamoci concentrarsi su quello successivo. Questo è quello che ti
da la scrittura serrata ed incessante di James Frey, un senso claustrofobico di
intolleranza alla vita, un rifiuto aprioristico di ogni emozione, perché il suo
effetto potrebbe essere più devastante di un overdose. Eh si perché questo libro
parla di quello,tossicodipendenza,alcolismo, che non sono semplicemente quello
che si intende letteralmente. Sono qualcosa in più,sono quella voglia di
autodistruzione che può cogliere ogni essere umano pensante e non superficiale.Siamo
tutti tossicodipendenti, perché dipendiamo da qualcuno, dipendiamo dai soldi,
dipendiamo dal lavoro, o anche più banalmente da un sms che non arriva. Siamo
drogati di attenzioni, di emozioni, le ricerchiamo dovunque, nelle persone che
ci circondano, nei lavori che non ci soddisfano,nello schermo di un computer
oppure nel microfono di un telefono. E’ giusto tutto ciò?E’ quello che Frey ci
chiede tra le righe del suo libro, attraverso la parabola ascendente di un
ragazzo di 23 anni alcolizzato, drogato alla ricerca di un senso per una vita
buttata nel cesso di un sobborgo di Chicago,James
vomita continuamente bile, sangue, pezzi di rabbia sopita, e a volte è una
liberazione, a volte sono urla disperate di aiuto verso un nulla che ci aspetta
a braccia aperte. Proprio come noi vomitiamo i nostri problemi addosso agli
altri, urliamo le nostre rabbie magari a quella macchina che abbiamo davanti in
una coda ferma ad un semaforo, e ci esasperiamo perché in questa cavolo di vita
ci sono troppi semafori, e molte volte solo sensi unici senza possibilità di
svoltare.Non possiamo procedere lentamente cercando della piazzole di sosta,
come paliativi di una strada nuova. Come ci insegna James, non ci sono capri
espiatori, non ci sono scuse per quello che ci capita, c’è un destino a volte
benigno e a volte avverso. Ma siamo noi a darne la valutazione. Dobbiamo
cercarci e chiarirci, capire ciò che desideriamo, anche se non ci si presenta
davanti. Capire il vento che ci soffia in faccia, caldo di passioni, di amore e
freddo di lacrime e paura, ma comunque vivo, vibrante ed emotivo.La malinconia
dei riti che diventa la forza del creare, il terrore del esistere che muta nella
consapevolezza di vivere. Un potere che non è lontano, è vicino, vicinissimo, in
ciascuno di noi.Strappiamo il nostro cuore, stringiamolo e vediamo cosa cola,
sangue nero di un amore marcio, di una rassegnazione all’inellutabilità del
precario.O un liquido rubino, vivo, emotivo, passionale, pulsante.Frey
ci dice che possiamo scegliere con uno sguardo negli occhi di un altro,
sorridendo, con una carezza su un cuscino, sorridendo, con un pensiero intenso,
sorridendo.
Basta volerlo.
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