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L´ago, Pertini e Sgarbi il demolitore:
tentativi di riflessione sulla Milano del 20115


Gregorio Carboni Maestri*

 

 

 

Milano è probabilmente fra metropoli dalla più accelerata decadenza in Europa, da ormai quasi 20 anni. Negli ultimi vent´anni la città è stata vittima di un´assenza totale di politiche urbane, dalla fase pre-tangentopoli si è passati a quella leghista, del Polo e della "Casa delle Libertà", che continuerà sino al 2011. Da questo ventennio è uscita più sporca, disorganizzata, cara, brutta, povera, con un ruolo internazionale, in termini culturali, ma non solo, ridimensionato all´osso. Ormai non è più capitale di un bel niente, anche se alcuni media e politici-affaristi locali decantano un ipotetico titolo di capitale della moda, del design, del mobile e quant´altro, titoli che aldilà delle Alpi fanno solo sorridere i giovani creatori iberici, francesi, anglosassoni, scandinavi..., avanti anni luce dalla pigrizia creativa e dal conservatismo progettuale cronici di una "certa" Milano...
Il capoluogo lombardo era, dal dopoguerra ai primi ´80, luogo d´avanguardie inserite nel circuito mondiale di discussioni, tendenze, dibattiti, tensioni ideologiche, che facevano della città un modello in tanti campi: la Triennale, punto di riferimento internazionale per il dibattito architettonico, urbanistico, del design, con lavori di sperimentazione quale il quartiere QT8; la metró progettata da Albini, con la grafica di Bob Noorda, su cui si è calcata quella di Nuova York; Giò Ponti ed il Pirellone, che alcuni dicono abbia ispirato il grattacielo PanAm di Gropius; il Politecnico; il sistema editoriale, teatrale, di gallerie; la rete capillare di progettisti, artisti e designer, da Castiglioni a Zanuso, da Munari ai "Memphis"... Emblematici di questo fervore, il gruppo B.B.P.R. e Ernerto N. Rogers e la loro "polemica" Torre Velasca... Rogers, progettista intellettuale, ancora oggi studiato in tutto il mondo, che fu docente e Maestro di quelli che sarebbero stati i grandi architetti milanesi, degli anni 70-80: Aldo Rossi, Giorgio Grassi, Cannella e molti altri.
Di tutto ciò, a Milano, rimangono solo briciole. Basta osservare gli spazi pubblici (e semi-pubblici) milanesi, gli edifici di recente costruzione, il sistema-mobilità e la produzione culturale milanese per rendersi conto della grave involuzione e paralisi meneghina.
Dai primi indizi, la neo-giunta comunale, presieduta da l´ex dipendente Murdoch Letizia Moratti, persevererà in questa strategia della non-politica del territorio e nel pressappochismo delle azioni culturali. Ma neanche le più pessimistiche previsioni avrebbero potuto immaginare l´inverosimile, con le ultime dichiarazioni di Sgarbi, nuovo assessore alla cultura: cancellare il Monumento a Sandro Pertini di Aldo Rossi in Lgo. Croce Rossa, la statua di Miró in via Senato, l´"Ago ed il Filo" di Oldemburg (di appena 6 anni fa) in P.zzale Cadorna, la sistemazione di Viganó attorno all´Arco della Pace (da poco ritoccata), i lampioni della Scala e la sistemazione di Portoghesi per la piazza dello stesso Teatro (peraltro già massacrato dal comune con un pesante restauro distruttivo, realizzato in assenza di concorsi e dibattiti), statue ai Giardini Pubblici... e altra mezza Milano!
En passant, Sgarbi ha anche dato le "sue" indicazioni di nomi d´artisti per le "sue" idee di monumenti, escludendo a priori concorsi. Grave, offensivo, dal punto di vista intellettuale, è l´aver definito il Monumento a Sandro Pertini di A. Rossi un "pisciatoio" ed "un´opera comica".
Aldo Rossi, milanese, è senza dubbio uno degli architetti più importanti del Novecento ed il più importante architetto italiano del dopoguerra, per influenza internazionale in campo teorico e progettuale, influenza che é, in certo modo, ancora presente in tutta l´architettura contemporanea. Il principale vettore di questo ascendente è stato il libro "milanese", L´Architettura della Città, ancora oggi lettura obbligatoria in tutto il pianeta per i giovani studenti d´architettura, che ha rivoluzionato il rapporto che avevano gli architetti con la Storia, con la città, con i centri urbani, con il vincolo funzione - forma, liberandoli (liberandoci) dalle catene noiose, ingenue, su certi aspetti riprovevoli (si pensi al rapporto col patrimonio e con la città storica) del Funzionalismo e dell´International Style in voga all´epoca.
Rossi, per motivi politici ma non solo, ha costruito poco a Milano. L´unico suo lascito importante, oltre all´unità residenziale nel quartiere Gallaratese, considerato uno dei massimi progetti architettonici del dopoguerra europeo, é, appunto, il sublime Monumento al presidente Sandro Pertini in Largo Croce Rossa. Monumento che è anche un omaggio alla Resistenza, quella che ridette a Milano la sua dignità infangata dal nazifascismo.
Il Monumento è forse una delle più belle fontane contemporanee europee. L´unica che riesca a trasformare un semplice slargo irrisolto in un gradevole, dolce e umano spazio urbano, molto intimo, ridefinendolo e circoscrivendolo brillantemente. Si tratta, a tutti gli effetti, oltre che d´un monumento-fontana, d´una vera e propria architettura, elemento di definizione spaziale, palco urbano e raro punto di riposo per i passanti. I suoi alti "gradini", sudici per via dell´abbandono comunale, portano, tramite "un difficile cammino" (quale quello della Resistenza), ad un luogo "alto" e "altro" (quello dei valori della Resistenza, dell´intelletto, della ragione, dei valori universali). In questo punto si apre un lungo scorcio, un taglio sul pesante muro in marmo di candoglia, che permette di osservare “segretamente” la strada, cioè, lo spazio della città, luogo per eccellenza della democrazia, della libertà, che Rossi tanto amava, e che ha descritto al mondo come spazio fondamentale della produzione umana, sociale, architettonica. Dalla parte opposta ai gradini, si scopre una sua nuova dimensione semantica: la fontana, che è a tutti gli effetti una facciata su Via Croce Rossa. Un monumento, dunque, dalle molteplici e ricche letture, proprio ciò che fa la differenza fra un´opera... ed un opera d´arte.
La fontana era già stata oggetto di critiche da parte di uno stilista che possiede un negozio nelle immediatezze. Egli rogna, in realtà, sul fatto che la NOSTRA fontana tolga visibilità ad alcune SUE vetrine, ma usa, con disonestà intellettuale, o forse per incapacità di comprendere l´interesse dell´opera, l´argomento della sua volumetria (a suo avviso eccessiva), che è, appunto, il suo maggior pregio ed intelligenza urbanistica, che lo rende così unico nella storia dell´architettura. Qualsiasi edificio o architettura, per il semplice fatto di "esserci" è, per definizione, ingombrante, caro Armani...
L´opera che Sgarbi vorrebbe spostare o distruggere è, per altro, una delle pochissime chicche architettoniche realizzate a Milano negli ultimi vent´anni, visitata da migliaia d´architetti, studenti, turisti, in città spesso di sfuggita (ci si chieda perché sempre così di sfuggita). A chiunque sia capitato di conoscere un visitatore più interessato, che desidera uscire dal solito circuito Duomo-Galleria, sa che la lista di priorità da vedere a Milano è, spesso, composta, appunto, da: Torre Velasca, Pirellone, Gallaratese e... Fontana Pertini di Aldo Rossi. In una città cosi maltrattata dalla sua élite (il termine è forse troppo eloquente per definire una borghesia ed un capitalismo decadenti, impreparati, pressappochisti ed irresponsabili quale gran parte di quelli milanesi), in cui non si fanno più concorsi – che, quando si fanno, restano sempre lettera morta, "aria fritta" – in cui non si realizza progetto architettonico o urbanistico degno di questo nome da molto tempo, in cui non vi è più il minimo segno di progettualità urbana da parte dei poteri pubblici, in cui sorgono come funghi palazzine di pessima qualità, degne dei peggiori progetti speculativi dei paesi in via di sviluppo, che fa di Milano città ormai definita da molti suoi sinceri ammiratori come "brutta", ecco che, in questo scenario deprimente, ci si dà il lusso non solo di voler cancellare monumenti quale quello di uno dei massimi architetti milanesi del Novecento, ma addirittura di perdere tempo discutendone come di un´eventualità da considerare.


Ma ci si scatena, in generale, contro opere d´arte nello spazio urbano, per altro già scarsissime a Milano, proprietà di tutti i cittadini, opere "gratuite", a disposizione di tutti, passanti, bambini, meno abbienti, che non si possono permettere di andare, con la famiglia, alle costosissime mostre di Sgarbi a Palazzo Reale o ai musei comunali milanesi. Oggetto di critiche è infatti anche l´"Ago e Filo" di Oldemburg, uno dei massimi artisti internazionali, peraltro, inaugurato in fretta e furia da Albertini per poter antecedere l´inaugurazione del nuovo piazzale Cadorna dell´Aulenti, capitalizzando così a tutti gli effetti uno dei pochi progetti di "restiling" milanesi degli ultimi decenni. Questi ed altri progetti e opere, hanno avuto costi e sono sempre e comunque rappresentative di un epoca. Per questi semplici due motivi, non dovrebbe neanche sfiorarci l´idea di spostarli, distruggerli o metterli in discussione, in una città che ha bisogno di spendere soldi in ben altri modi: costruire asili, ristrutturare le scuole, edificare case popolari e per studenti, spazi pubblici degni di questo nome, piste ciclabili (Sgarbi e i suoi colleghi vadano a fare un giro per Barcellona, Rotterdam, Lione... Roma). Non solo: Milano ha bisogno di più arte, più cultura, più architettura, più bellezza, materiale ed immateriale!
Ma dietro queste “Sgarbianate”, vi è anche il riflesso di un pensiero politico più profondo. Il suo discorso s'inserisce in un processo più ampio che, in questi anni di destra inferocita, ha cercato di cancellare o negare le tante memorie di Milano: la Resistenza, Piazza Fontana, la memoria industriale e operaia, con le grandi aree di archeologia industriale milanese.
In tal senso, si è realizzato uno sterminio, nel totale silenzio dei milanesi, di quasi tutta l´archeologia industriale meneghina: Bicocca, Portello, le fabbriche della Bovisa, l´ex Farmitalia di via Imbonati, in futuro la vecchia fiera e altri milioni di metri quadrati, regalati alla ferocia di speculatori edilizi. Questo massacro non é solo una volontà di cancellare il passato “sporco”, operaio, industriale e produttivo, di Milano, é anche una grande lista di mille occasioni perse per la città. Quello che a Londra é servito a fare una Tate Modern, a Parigi un Palais de Tokyo, i gasometri che a Vienna sono diventati centri abitativi e commerciali, nella Rhur splendide scenografie industriali sommerse nel verde, a Milano diventa polvere, dando luogo a palazzine anonime degne della periferia di São Paulo... Il gusto (o piuttosto l´impegno...) perverso delle destre per le demolizioni è tale, che qualche mese fa Giovanni Terzi, attuale assessore allo sport, propose addirittura di istituire un assessorato alle demolizioni.
Anche la reazione degli architetti e uomini di "cultura", per non parlare della cittadinanza milanese, a queste affermazioni schizofreniche, è sintomo del decadimento ormai irreversibile di questa città: silenzio e pochissima indignazione... come se, su tali offese all´intelligenza umana, beh, ci si possa anche discutere da galantuomi, con il Corriere della Sera sotto il braccio. Affermazioni alla rinfusa del genere, a Berlino, Losanna o Stoccolma, sarebbero considerate bestemmie da bar e motivi per dimissioni... di tutta una giunta!
Sgarbi e la sua giunta non dovranno, per altro, passare sopra il corpo di studenti, architetti o cittadini per poter distruggere o spostare il capolavoro di Rossi in onore del nostro ex-presidente partigiano, come in una qualsiasi città europea moderna. Nel miglior dei casi a difendere l´opera di Rossi vi saranno gli ex-partigiani e qualche loro nipote, o le firme di protesto di architetti ed intellettuali esteri di prestigio. Ad operazioni concluse, Piazzetta Croce Rossa diventerà un altro anonimo slargo milanese, Armani avrà più spazio per il suo sushi bar. O, chissà, l´universalità dell´opera di Rossi ed il rispetto per un socialista e partigiano quale era Pertini probabilmente riusciranno a salvare l´"oggetto" e quello che di più bello ha: una piazzetta, un luogo, di tutti, per tutti.
Milano continuerà così nel suo percorso ormai ventennale, sempre più disorganizzata, provinciale, pauperizzata... Se le persone sensibili di Milano non si risveglieranno reagendo in tempo al decadimento culturale ed istituzionale complessivo della città, proprio come i loro antenati all´indomani della Seconda Guerra Mondiale, fra qualche anno si accorgeranno di vivere in una urbe devastata irrimediabilmente non dalle bombe, ma da speculatori, edilizi, finanziari, e politici. La ricostruzione sarà però difficilissima se non impossibile, perché l´immaterialità dei tessuti sociali, politici e culturali saranno indeboliti al punto di non poter farsi carico di quelli urbani, materiali, fisici, costruiti...


Il caso delle ultime dichiarazioni di Sgarbi e la volontà di cancellare con violenza elementi artistici d´ogni genere nonché il Monumento a Pertini di Rossi é poca cosa nei confronti di quanto già visto a Milano negli ultimi decenni, ma é un elemento simbolico, un salto di qualità, segno dell´inizio di un processo degenerativo della città ormai senza controllo.
È giunto dunque il momento di reagire, ribadendo, una volta per tutte, che il monumento a Pertini, così come qualsiasi fontanella di Milano e l´acqua che da esse sgorga, sono parte del patrimonio collettivo, proprietà di tutti, milanesi e non, cose pubbliche, dalla dimensione materiale ed immateriale, dunque universali, che vanno difese dalla fagocitazione di pochi usurpatori affamati e dei loro rappresentanti, che inaridiscono l´unico suolo su cui possano posare i nostri piedi.
Si preparino Sgarbi ed altri distruttori culturali di questa città. L´ago di Oldemburg sarà forse brutto, ma quello dell´intelligenza può essere molto pungente!


L'autore
*Gregorio Carboni Maestri, classe 1977, italiano, belga e brasiliano, ha studiato architettura presso La Cambre di Bruxelles, la Faup di Oporto ed la Facoltá d´Architettura Civile del Politecnico di Milano, ha lavorato in Brasile, Italia, Portogallo (CRUARB-CH di Oporto), Francia (Renzo Piano Building Workshop di Parigi, lavorando alla nascita del progetto Ex-Falck di Sesto San Giovanni oltre cha ad altri progetti a Londra) e sta concludendo una tesi su Aldo Rossi i cui relatori sono gli architetti Simona Pierini e Eduardo Souto de Moura.

 

 
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