Forse era pesante il tonno in quella Niçoise della sera
prima, forse doveva recuperare qualche ora di sonno persa sul
cielo di Oriente per colpa del suono assordante dei rotori,
ma quella mattina la luce d’ambra dell’alba che
copriva la vecchia Monaco non era smagliante.
Si, perché dalla piccola finestra esposta a ponente della
dinette del Cabanon, a fine maggio si poteva godere della meravigliosa
vista della danza della luce sul paesaggio della Costa Azzurra,
prima ancora di venirne accarezzati; da quella settimana trascorsa
al Cabanon alla fine di maggio tante cose sono accadute, tante
cose sono state costruite: ad agosto quasi terminato il Palazzo
dell’Assemblea era stato ultimato.
Osservando l’antica Mesopotamia dal finestrino dell’aeroplano
mise a punto alcuni dettagli della ringhiera del Carpenter di
Boston con qualche segno sul carnet, nonostante il rumore e
la stanchezza non gli consentissero di andare oltre.
La luce quella mattina non era smagliante, forse anche perché
non era soddisfacente per lui essersi svegliato tardi, solo
alle cinque e mezza. Così almeno segnava l’orologio
svizzero dondolante dal guanciale del lit de bois.
Ma quella mattina c’era proprio qualcosa che non andava.
Si alzò.
Il carrubo lo salutò con il consueto inchino delle sue
fronde, ed egli accarezzò il ramo più basso senza
neppure guardarlo, la vista andava oltre l’orizzonte,
a guardare forse la Corsica o forse la costa di Algeri, o forse
il petit bateau che usciva a cercare il pesce da cucinare all’Etoile
de Mer.
Quel dettaglio del Carpenter era uno dei tanti pensieri, forse
quello più importante nonostante la consegna di Venezia
incombesse, ma quel dettaglio fu quello che occupò quel
momento di passaggio tra la coscienza ed il lavoro inerziale
del cervello prima del sonno profondo.
Già, l’architettura.
L’architettura, quella cosa che forse non esiste o forse
è talmente tutto.
Quell’architettura che in questo luogo, che oggi sarebbe
definito di abuso edilizio, è stata arte, loisir, pittura,
naturismo, buona cucina, nuoto, scrittura, pesca, disegno.
Disegno.
Qui è stata progettata l’idea di Chandigarh.
Questo luogo è stato anche Città.
Ormai era già tardi, la giornata incombeva, Rebutato
propose per quel giorno una breve escursione sulla collina di
Roquebrune. Da là avrebbe potuto vedersi la Corsica.
Quel giorno la luce non l’avrebbe consentito, ma egli
fu comunque attratto dall’idea di osservare l’orizzonte
alto, dall’alto.
L’ordine, lo sport, la forma fisica. A Cap Martin tutti
i giorni una vigorosa nuotata introduceva un nuovo giorno.
Così decise di prendere il suo indumento da nuoto, il
suo carnet e il lungo tendaggio di lino bianco che utilizzava
come pareo e spugna da mare, e di scendere verso la spiaggia,
la plage che tanto sognava pochi giorni prima sotto il caldo
umido del Punjab.
Fu dal cancelletto dell’Etoile che pensò ad una
nuova soluzione per quella ringhiera, e cercando con la mano
nel saccone di stoffa si accorse che dimenticò la matita.
Quella giornata aveva qualcosa di strano.
L’orizzonte. Il pensiero rimbalzava dalla matita all’orizzonte
del Mediterraneo.
Già, il Mediterraneo.
Il fresco concentrato dei ciottoli sotto ai piedi lo allontanarono
dal pensiero sull’universalità del Mediterraneo.
Erano molto fredde quelle bianche e tonde pietre; al mattino
qui è sempre così.
Il tuffo fu improvviso, come sempre. L’indecisione l’aveva
combattuta, come sempre.
Le orecchie sotto il livello dell’acqua ricevono strane
frequenze: sembra di entrare nel padiglione Philips.
Suoni.
Rumore.
Silenzio.
Nessuno saprà mai se fu la stanchezza, lo sbalzo di temperatura
di quella sorgente di acqua freddissima che sgorga in qual tratto
di mare.
O se semplicemente fu il destino.
Il destino che decise da tempo che in quel momento, quarant’anni
fa, la sua anima dovette passare attraverso il sale del Mediterraneo
per raggiungere l’orizzonte, per superarlo, per guardarci
da oltre.
parole di mario clemente rossi | immagini francesca
fabiano
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