L’INIZIO
DELLA FINE |
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di Agnoletto Matteo | ||
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City-scape(s):
declinazioni urbane, geometrie spezzate, virtuosismi virtuali, tipo-logie
sovrapposte, spazialità inter/rotte, con(cen)trazioni formali, e
linguistiche, accostamenti eterogenei, territori magmatici, nuovi
archetipi: questo il paesaggio, o la geo-grafia, dell’attuale
multipli-city. Scenari complessi, esclusi dalle classificazioni
tradizionali e tipiche del manuale o del codice. Non più logiche da
seguire, regole da rispettare. La de/costruzione del sapere e quindi anche
dell’architettura implica e prelude alla de-strutturazione
dell’impianto urbano della città e del paesaggio. Origini nascoste,
radici lontane accompagnano questo tra-passo: nel 1911 Boccioni dipinge
“la strada entra nella città”. La regola ottocentesca dell’isolato,
negata poi dalle stecche eliotermiche funzionaliste, viene (s)composta e (ri)pensata
in nuovo modo. La suggestione che accompagna questo dipinto anticipa lo
scenario di questi anni; prima una sperimentazione sul singolo oggetto
architettonico, astratto o reale, costruito o solo rappresentato, per dar
seguito poi alla distruzione dell’intero complesso urbano della città.
Nel mezzo (co)esistono altre ricerche: la città radiosa attraversata dai
lunghi rettilinei a senso unico di marcia di Le Corbusier, la Grossstadt
su più livelli stradali di Hilberseimer, fino alla naturale negazione
della suddivisione in strade ed edifici della Lille degli Om@ con la
sovrapposizione del costruito alle reti autostradali e ferroviarie della
città. I passaggi nel deserto di Smithson, Long, o quelli provvisori di
Christo, a Central Park, come evocano l’inutilità di usare vie
conosciute e già segnate, indicano anche il nuovo ruolo della strada come
elemento che de-struttura la città contemporanea, per coaugulare altre
immagini, scorci improvvisi, da sovrapporre a quelli abituali. L’oggetto
architettonico non ha + prospetti e facciate, intese alla maniera
classica, per essere appunto osservate dal marciapiede, dalla strada: lo
smontaggio conseguente al cambiamento dei modi di leggere il reale crea
situazioni alternative per pensare al manufatto, dove anche gli elementi
urbani stessi partecipano e diventano materiali compositivi e strutturanti
la logica del progetto. Un/certain
state(s):
silos per auto, villette, quartieri, centri commerciali, bar, cimiteri,
parcheggi, cinema multisala, abitazioni (uni)familiari, (orto)mercati,
capannoni, autolavaggi, macelli, stadi, palazzine, industrie, showroom,
campi sportivi, chiese, chioschi, corti e giardini, porti e aeroporti,
stazioni, musei, terminal marittimi, ponti, grattacieli, padiglioni
espositivi, discoteche, pub, negozi, piazze, caserme, dogane, hotel e
motel, bowling, autogrill, bordano le infra-strutture e i collegamenti
della metropoli, il loro inizio e la loro fine. Mutazioni urbane ne
aggrediscono l’ordine e la posizione sul territorio; come particelle
molecolari dis-organizzano e disgregano il (di)segno del luogo. La
possibilità di accettare queste variazioni è il controllo che il
progetto tenta di attuare. La perdita d’identità si estende dal singolo
contenitore funzionale all’insieme metropolitano, trascinandosi dietro,
e modificando, la rete dei collegamenti e il contorno degli spazi vuoti e
aperti, re-inseriti prima nel progetto e poi attraverso esso nel contesto
naturale, portando alla percezione collettiva i nuovi stati d’animo e le
diverse realtà che scaturiscono da tali operazioni. L’incertezza e la
solitudine, caratteristiche dei personaggi che abitano la grande città
del ventunesimo secolo, vengono assorbite e ri-messe nel flusso urbano
come componenti positive del progetto (l’incertezza del visitatore
colpito dalla sindrome di Bilbao?). Any-city:
percorsi, tracciati, itinerari, camminamenti, tragitti, rotte, binari, (boulevards,
avenue), piste, superstrade, non sono più materiali o figure
dell’ordine urbano della città o del paesaggio. La tra(n)s-formazione
della city è in atto e le modalità per intervenire su di essa comportano
nuove strategie: la città clonata, non
la città doppia (city double) o la città falsa, la ripetizione e
ri/costruzione di interi frammenti del DNA urbano per evocare scenari
ulteriori e ripetuti a quelli conosciuti. La strada come spettrografo
degli eventi e degli accidenti della città, luogo dove tutto può
accadere, viene ri/configurata all’interno del nuovo “landscape”,
assume un ruolo non di (de)limitazione del lotto progettuale o di oggetto
urbano amorfo. All'opposto: nuovo morfema, generatore della struttura
prima del progetto, materiale compositivo e costitutivo al pari di setti e
pilastri, colore e suono del manufatto. Nuovi atlanti, mappe alternative,
carte ulteriori, layout generativi: la geo-grafia della città
multi/mediale risente delle tra(n)s-mutazioni implicite del nuovo
progetto. Percepite e accettate, nei vari territori, ai bordi o
all’interno della megalopoli e del paesaggio, le modifiche
sull’immagine, sulla forma e sulla composizione del te(s)s(u)to urbano
causano connotazioni espressive diverse, per rispondere ad esigenze
innovative, legate alle tecnologie, alle informazioni interattive che
necessitano di nuovi tempi e diversi spazi, ormai dilaganti nelle pratiche
e negli usi comuni. La caduta dei confini, la perdita del limite e la sua
inutilità geo-grafica e fisica, la compenetrazione dei territori
producono un caos al di là del quale le certezze maturate precedentemente
perdono la loro capacità di codificare e raccontare un universo preciso e
regolare. L’orizzonte si spinge più in là, andando oltre
conoscenze prestabilite. Cosa
significa tutto ciò? Siamo giunti alla fine di un ciclo storico? O
siamo già all’inizio di nuovi inizi? “una grande città, i cui confini sfuggono alla percezione dei sensi, non può più essere recuperata con la progettazione” PB AGNOLETTO
MATTEO Renzo Piano Building Workshop s.r.l. |
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