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"Quando un sistema raggiunge i suoi limiti
e si satura, si produce una reversione: accade un'altra cosa, anche
nell'immaginario. Finora avevamo sempre avuto una riserva di immaginario e
però il coefficiente di realtà è proporzionale alla riserva di immaginario
che gli conferisce il suo peso specifico. Questo è vero anche per
l'esplorazione geografica e spaziale: quando non c'è più territorio
vergine, e dunque disponibile per l'immaginario, quando la carta copre
tutto il territorio, qualcosa come il principio di realtà scompare."
Tratto dallo scritto Simulacri e fantascienza, di Jean
Baudrillard.
Le continue e rinnovabili estensioni che la
tecnologia ci consegna come tremendamente necessarie e uniche,
costituiscono ormai delle vere e proprie periferiche conoscitive. Esse
sono capaci di riaggiornarsi interagendo con il nostro spazio vitale e
sviluppando funzioni che a volte trascendono il nostro stesso
comportamento, producendo interconnessioni sconosciute, appropriandosi di
spazi non previsti e mai cercati, agevolando piccoli ambiti ‘altri’,
indicandoci una direzione verso comunicazioni ‘invasive’ (vedi pubblicità
subliminali, comunicazioni contro la privacy, interconnessione di siti
ecc…). La presunta ed illusoria libertà d'intervento dell'individuo, sulla
realtà, ha probabilmente determinato o determinerà circuiti perversi di
sistematiche strategie di controllo. Una frammentazione delle funzioni e
delle coordinate individuali che, con l’appoggio della tecnologia
multimediale tendono ad espandersi verso dimensioni diverse ed a canali
conoscitivi complessi, alternativi, disgiunti da una scelta desiderata. Il
che diventa abbastanza preoccupante. Quello che ci interessa però, è
capire se i vantaggi dei mondi informazionali, istituiscano una forma di
maggiore libertà, che risulterebbe per un certo verso ‘mimetica’ rispetto
alla rete, oppure generino spostamenti che lasciando una traccia, una
scia, fatta di messaggi e informazioni ‘seconde’, diventino estremamente
riconoscibili perciò controllabili. Senza ombra di dubbio sono eventi
appartenenti fisiologicamente ai linguaggi espressivi e alle mutazioni
tecnologiche che man mano si sono auto configurate stratificando l’attuale
realtà, è importante dire che più o meno, a parte i tempi, la maggior
parte degli accadimenti era stata prevista da dieci o quindici anni e
numerosi testi hanno già scandagliato quelle realtà poi, attualizzate.
La commutazione dell’interfaccia è
proliferata, il processo di crescita frattale dei sistemi comunicativi si
espande, consuma il tempo decretando l’agonia del ‘vissuto’ individuale.
L’istantaneità domina sulla transitorietà del tempo, sulle
sue rigeneranti relazioni e permette scambi consapevolmente immateriali.
Diventa determinate, a questo punto, che ci si rivolga all’unica materia
di verifica di nostro interesse per saggiare gli strati di cui è composta
questa complessa realtà; l’architettura.
L’architettura è prevalentemente una materia
‘unta’ (vocabolo da intendere nelle diverse e obbligatorie accezioni) di
quotidiano. Essa è caratterizzata da diverse componenti linguistiche e
progettuali come la sublime trasparenza, la severa luminosità, poi,
l’intrigo formale giunge a compromessi con essa e definisce le ombre
quindi i volumi. Il colore dei materiali d’elezione propriamente naturale
(è chiaro), ma una cosa è fondamentale, secondo me, da tenere in
considerazione; tali architetture, sono sollecitate o dinamicamente ‘smosse’,
progettualmente istigate e provocatoriamente realizzate da un’operatività
basata sullo studio e la ricerca, da ambiti teorici, terminologici,
metaforici, costituenti una base di esperienze fenomenologicamente vitali.
Forse appartenenti ad un altro sistema di relazioni percettive di
dichiarata importanza. L’architetto lo sa, e mentre una mano digita sulla
tastiera controllandone la struttura, l’altra tocca la superficie dei
materiali sentendone la grana e saggiandone le caratteristiche utili alla
costruzione finale, quando il pensiero diventa spazio architettonico. Non
esiste infatti ‘ibridazione’ senza vulnerabilità e precarietà, non
esiste ‘interattività’ senza scolorimento oppure ossidabilità, non
esiste ‘connessione’ senza screpolature o scollamenti, non esiste ‘smaterializzazione’
senza deterioramenti od opacizzazioni, praticamente non esiste lo spazio
architettonico senza, avvizzamenti, muffe, graffi, scheggiature,
ammaccature, tacche, componenti mutevoli dei materiali e di tutta
un’architettura il cui dna contiene un elemento di transitorietà. Questo
mi è stato comunicato dalle foto delle opere speditemi, su richiesta,
dallo stesso artista e che compaiono in questo scritto. Scelte per il tipo
di ricerca che intendono portare avanti e il tipo di ‘contatto’ visivo che
riescono a stabilire conoscendo i funzionamenti del mondo produttivo.
Sono delle opere che conoscevo da tempo, ma
per qualche istante, hanno promosso nuove percezioni e la loro realtà
materica, definiamola ‘di risulta’, ha fatto il resto.
Cosa dell’oggetto reale ‘attuale’, non è
condiviso dalla velocità dell’informazione, che viene data di esso?
Ritorna una frase (già citata nello scritto
Simulazione d'assenza)
del profetico Bruno Zevi quando riferendosi a Leonardo da Vinci e dice:
“[...] va ricordato quanto
diceva Leonardo sulla necessità di tener conto delle nebbie, delle
foschie, delle sbavature, delle albe, delle piogge, del clima ingrato, del
caldo, delle nuvole, degli odori, dei tanfi, dei profumi, della polvere,
delle ombre e delle trasparenze, degli spessori dolci quasi sudati, delle
evanescenze fuggevoli. Adesso l'architettura è attrezzata per captare tali
valori”.
Di un oggetto, lo spazio com-prende,
avvolgendolo, la luce i colori le proiezioni nell’intorno. Il tempo a sua
volta traduce quest’aura ‘oggettuale’ in un’opaca storia di ‘assorbimento’
del luogo. In effetti un corpo, avviluppa relazionandosi, il suo mondo
compenetrandolo e generando la propria unica realtà. Metafora piuttosto
attendibile, perché verificabile di un’eloquente ed evidente, alterazione
formale e percettiva.
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La transitorietà degli eventi
relazionali dei corpi architettonici, è per la maggior parte integrata a
questi aspetti legati indissolubilmente al tempo ed allo spazio ‘occupato
dall’esistere’, quindi è un valore estetico da attualizzare. Ora, se
allarghiamo il nostro campo di analisi e prendiamo in considerazione
l’oggetto-città, allora ecco che, l’artefatto umano per eccellenza,
testimonia quanto un corpo architettonico, può assorbire dall’intorno e
quanto può espandersi in esso.
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Nel momento in cui si arriva alla
rappresentazione di questi stati di variazione del corpo architettonico,
sia esso oggetto singolo o anche tutta una città, ci confrontiamo con
tutto un genere di sistemi diversi di comunicazione. Sempre continuando
l’analisi della città, come ricerca ‘oggettuale’ di
trasformazione-autonoma, cogliamo come lo spazio e il tempo ascrivendone
un’inedita con-formazione. Appunto ‘trattando’ l’argomento urbano, un
esempio chiarificatore può essere la rappresentazione filmica di esso che
è stata fatta nel tempo. Siamo passati dai lenti scatti delle squadre di
operai del film Metropolis che evidenziano lontane graficizzazioni
santeliane di tentacolari città a livelli esplorate dal tempo ritmico
militaresco, al 'brodo primordiale' (cromato) dell' effetto morphing
in Teminetor 2, alle minimali sequenze del sistema bullet -time del
primo Matrix, fino alle deterritorializzanti e s-coordinate visioni
oscillanti della città 'indagata' vertiginosamente da Spider man.
Il complesso flusso di relazioni vitali che chiamiamo città, finalmente si
rivela mostrando i suoi rinnovati primi piani, i suoi quadri prospettici
piegati dall'accelerazione, l'evoluzione della stessa percezione
dell'urbano è decostruita da continue attese date dall'assenza di
coordinate. Angoli mai visti e mai vissuti di una metropoli, adesso
visibili, realizzano condizioni d’esperienza ottica inaspettata. Una
dimensione nuova, vicina ai minimali requisiti di appartenenza
dell'oggetto all'ambiente circostante, (i riferimenti imponderabili dall’abecedario
boccioniano) realizza un approccio diverso alla sua stessa essenza e
soprattutto della sua rappresentazione ‘virtualmente reale’ o
meglio dire possibile ma (ricordiamo) non attuale (L’intelligenza
collettiva, di P. Lévy, Feltrinelli Milano ‘96).
Gli Esercizi di stile (parafrasando
Queneau), si trasformano in esercizi di velocità tentando di
tradurre strumentalmente il concetto di quarta dimensione, difficilmente
interpretabile da chi si avvicina all’argomento architettonico.
Aggiungiamo volentieri questo nuovo elemento arricchendo così, il tavolo
della ricerca, dalle repentine accelerazioni visive. Lo spazio-tempo
risulta attualizzato ed in alcune sequenze, anche verificato; un risultato
apprezzabile nel campo strumentale e tecnologico per la comunicazione
dell’architettura. L'uso di queste novità informatiche davvero potrebbero
contribuire a forme di decodificazione della realtà
Dall'attenta e puntualissima ridiscussione
dromologica, svelata da Paul Virilio (L’orizzonte negativo - saggio di
dromologia) attraversiamo 'ibridanti' sistemi di nuova concezione in
cui l'immaginabile diventa velocemente visualizzabile e ancora più
velocemente rappresentabile. Verifichiamo, dunque, un aspetto che da 'dromologico'
diventa 'dromografico', in effetti la realtà condottà ad altissima
velocità descrive solo segni, forse parvenze o evanescenti percezioni.
L'architettura si affranca dai teoremi, evidenzia l'atto minimo di
attività di cui è strutturata e svela così, contributi visivi e immagini
dichiarando l'importanza di questi strumenti che come altri ora
partecipano all'evoluzione dello spazio archittetonico, sconnette i binari
sui quali veniva trainata e genera 'scambi' irregolari nelle diverse
direzioni. Una quarta dimensione 'zeviana' finalmente realizzata. Lo
spazio-tempo avrebbe una significanza recuperabile o almeno, ora,
avvicinabile; didatticamente potrebbe suscitare un'enorme quantità di
nozioni ed esperienze uniche, se usata per parlare e soprattutto mostrare
(rappresentare) l'architettura, proprio come appare nei films di cui
abbiamo parlato.
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La tensione che
continua a trasmettere la nostra realtà quotidiana, lo dobbiamo ammettere,
esprime una dematerializzazione fin troppo veloce e determinante ai fini
di un’analisi di quelle percezioni umane che potevano, fino a qualche
tempo fa, evocare scambi tra l’ambiente vitale e l’immaginario mondo del
possibile.
Infondo, lo avevamo ben compreso che il sogno,
il desiderio e l'attesa della loro realizzazione, potevano favorire nuovi
fermenti e conflitti in cui lo spazio ormai allo stremo, trova molte
difficoltà nel passare dal 'transitorio' all’ ubiquo stato
dell'uomo nomade immerso nel flusso dei molteplici e istantanei paesaggi
che gli si presentano freneticamente. Nella velocità lo spazio
architettonico, a volte, non ‘traspare’, tarda a rivelarsi o addirittura
scompare.
L’effetto temporale diventa, allora,
particolarmente importante per stabilire quegli equilibri percettivi delle
altalenanti scelte e di scambio di esperienze improvvise, un dialogo
continuo della mente con il luogo, con l'esperienza del viaggio con il
transitorio, favorendo gli stati intermedi di trasformazione (spostamento
fisico e radice di trasitorio ) che entra in 'risonanza' con il
pensiero e le percezioni stabilendo delle relazionalità ormai
riconosciute. Può succedere che, il possibile e crepuscolare effetto
soporifero delle virtualità visibili e sovrapponibili velocemente,
rispetto alle certezze derivate da lente matuarzioni, si avvicini in
maniera piuttosto preoccupante ad una fase critica e di limitatezza del
prodotto relazionale umano come riserva vitale, ripetto a quello
presunto tale, quindi virtuale. Ma allora chiediamoci quali sono gli
ambiti in cui è possibile osservare e verificare, questa 'transitroria'
opportunità? Come venne descritto a suo tempo, è possibile l’ uso di una
diversa intelligenza che ha i suoi spazi e i suoi tempi in-formazione,
prediamo atto però, della conseguente e possibilissima distrazione
dell'attenzione dalla lenta mutazione degli oggetti, che ‘transitano’
attorno a noi.
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Il virtuale, che abbiamo imparato, contrasta
con l’attuale, è quindi povero di mondo?
L'oggetto ‘attuale’, in effetti, assorbe
l'essenza stessa della sua presenza nello spazio e nel tempo, rielabora
modificandoli i propri profili con sfumature naturali irriproducibili,
s'immerge nella sua trasformazione e si privilegia di giocare nella
differenza. In questo apparire, esso assume l'aspetto di un corpo, certo
fluttuante ma inserito in una dimensione spaziale e in un tempo che lo
'sporca' di realtà, lo consuma lo sperimenta. Sappiamo anche che,
decontestualizzando un oggetto, esso assume qualità inaspettate insite
nell'atto stesso dello spostamento dal luogo, ma qui siamo di fronte a
qualcosa di diverso. Noi ne descriviamo le conseguenti trasformazioni
relazionali con il presente, recuperandone gli 'effetti collaterali' dopo
i conflitti con il reale. Forse un processo che ci avvicina al sublime
fenomeno della transitorietà dei corpi e al processo ineluttabile
verificato nello scoprire la genesi dello spazio (architettonico)
dell'uomo.
Và notata, in questo caso, la concezione della
visione di un 'passaggio', del tempo negli-sugli-degli oggetti e la
profonda possibilità espressiva che essi provocano nel trasformarsi
relazionandosi nel tempo e nello spazio contribuendo a farci percepire il
cambiamento di uno stato di cose fino ad allora indifferente. Ma cosa
diventano questi oggetti quando vengono inseriti in un tempo che supera
l’attimo presente e diventa già passato, cosa si somma alla loro forma,
alla loro essenza, quale valore aggiunto, quale fenomeno ‘parassitario’ o
‘qualitativo’ li rende oggetti mutanti trasformandoli in oggetti ‘altri’.rispetto
alle originali funzioni?
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Quali oggetti più di
altri ‘narrano’ la nostra mutazione in atto, se non quelli che catturano i
nostri bisogni, e partecipano alle nostre relazioni, anche per pochi
istanti?
Ho sempre pensato che l’oggetto, nel tempo
crea un diverso spazio ‘di manovra’, ‘di movimento’ ‘di attività’. Non
quella snobbisticamente relativistica che riguarda l’apprezzamento di un
rudere rispetto ad un oggetto dato e attuale, ma quelli in cui il velo
‘sublime’ del transitorio rappresenta già un’attività
interstiziale. La concezione sviluppata dalle forme qui presentate (foto
dalla 1 alla 5), ricordano la presenza nelle piegature di questa realtà,
di una zona di transito dal tribale al futuribile, le opere sono eloquenti
in questo senso, rievocano consumi del tempo, visioni referenti di
attività rimaste umane per un tempo troppo breve.
Segni che recuperano espressionismi già
identificati, ma appartenenti ad un’evoluzione continua ed estenuante per
le forme che realizzano, quasi fossero dei modelli planimetrici di nuove
città future sintesi di spazi vitali ancora da vivere, oppure schemi di
circuiti stampati la cui possibile collocazione, come un puzzle, dà la
soluzione per nuovi spazi da immaginare ed utilizzare.
Di questo concetto parlammo in un altro
scritto (Déjà
vue d'Architettura),
siamo davanti ad oggetti che rappresentano vere e proprie porte per
dimensioni differenti, alternativi livelli d’interpretazione e ricerca,
creazioni che stabiliscono favorevoli e stimolanti permeabilità della
materia, quindi generano canali percettivi preferenziali per la
conoscenza dell’uomo, capaci di sacralità che superano la naturalità e
accedono a mondi possibili. Evidenti matericità che ‘transitano’, quindi
diventano corpi costruiti, quasi architetture simulate, morfogenetiche
creazioni dipendenti da spazi ancora da concepire. L’oggetto rilascia la
sua identità nell’intorno contiene lo spazio come si trattiene un respiro
e supera la barriera fisica, il corpo perde tutt’ad un tratto la forma,
solo in questo momento è visibile lo spazio.
Queste opere, rendono ragione all’indagine
perenne nel campo dei problemi tecnologici legati ai sistemi di regole che
evidenziano le concrete relazioni umane con il mondo. Appartengono alla
Re-Art, l’arte del riciclo che s’inserisce nel nostro discorso
interessandoci per l’evoluzione di sistemi di riconversione che già in
altri miei scritti ‘ibridanti’, si sono toccati. Finchè certi
oggetti fanno parte di un processo tecnologico produttivo, essi occupano
spazio vitale e perciò fanno parte della nostra esistenza come schegge
sensibili di una realtà. Nel racconto Il cacciatore di androidi in
un tempo datato 2019, si parla di ‘effetto Kipple’, sarebbe
interessante rileggere quel capitolo per avere un’idea di quello che
s’innesca dopo che l’uomo ha abbandonato un luogo già vissuto.
Corpi contenenti spazi ‘di risulta’
quindi, solidificate, esperienze plastiche disperse in un laboratorio di
forme e segni che l’artista ha saputo evidenziare con particolare
attenzione nel proporre una dimensione immaginifica e allo stesso tempo
reale, uno schema bifronte scolpito sia dal contenitore di esigenze umane
e dalla macchinistica espressione. A noi, rimangono idee e percezioni di
corpi, che da queste strutture d’imballo, definiscono una forma di
cristallizzazione di uno spazio ‘notevole’. L’agire umano intorno
all’oggetto che solidificandosi ‘contiene’ e poi si proietta dilatandosi
nel luogo, sconvolgendo il suo utilizzo.
Oggetti utili solo nell’attimo della scoperta
di un corpo da loro trattenuto o avviluppato forse conservato, non sono
contenitori ma profili di spazio, decorazioni intorno ad una funzione,
corpi interattivi che uniscono interno ed esterno, ambiti di
trasformazione, ecco perché gli ho scelti come sintesi estrema e perché
no, come metafora della transitorietà che, proprio come il mondo
dei media, funge da ‘imballaggio’ contemporaneo capace di adattarsi alle
diverse tentacolari proiezioni strutturali di un urbano, rinnovandone i
labirintici sensi e le sempre più complesse funzioni.
Note di riferimento:
-Il progetto in testa
all’articolo è di F. Delogu e G. Lixi, Cagliari, casa unifamiliare.
-Le opere pubblicate per
gentile concessione dell’artista Ignazio Fresu fig. 1,2,3,4.
Nota di rete dell'autore
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