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PIEGARE : INTUITIVO, ESPERENZIALE, RICORSIVO
di M.Nardini
intorno all'experience design seminar roma luglio 2005
 
 
Calliope-Loredana Brugnoli e Maurizio Ambrosetti Prototipi realizzati dagli studenti del Corso di Disegno Industriale, A.A.2004-2005 Tòrn-Emanuela Gualers

“Tutta la teoria del mondo non vale
un singolo esempio pratico”
Anonimo

Il contenuto primario dell’Experience Design Seminar è l’idea di mettere in campo una riflessione che ammetta un confronto tra impiego e re-impiego, sia dal punto di vista del materiale che da quello dell’oggetto comunicativo. La sfida è stata quella di farlo non solo teoricamente ma attraverso un seminario esperienziale, che mettesse ognuno in condizione di tracciare il proprio percorso conoscitivo anche per via operativa.
Il prodursi di valore e significato dell’atto-progetto è da leggere come fatto esperienziale, ricorsivo e intuitivo. Anche se può sembrare ovvio, cercando di spiegare quest’affermazione, viene in mente che osservando esperimenti dove, alla riflessione teorica si affianca l’implicazione attiva coi temi della sostenibilità e del rapporto tra funzione e forma visti come pratica operativa, il dato che emerge in modo chiaro è che l’azione del designer non può prescindere da una presa di posizione “politica” rispetto all’esperienza progettuale (e all’esperienza in generale); e questo a maggior ragione in rapporto ai contesti produttivi e alle pratiche attive del progetto.
Sembra emergere nuovamente, come cifra del progetto, la messa in valore della sperimentazione formale e compositiva; associata al senso di responsabilizzazione del proprio agire (e dell’urgenza di tale agire). Il principio di responsabilità valorizzato e moltiplicato dall’impegno a sperimentare. Una posizione questa che ricorda altri momenti storici.

Di fronte a tale slancio, la posizione postmoderna fondata sull’impossibilità dell’originalità e dell’autenticità, in un mondo saturo di media/messaggi (spesso auto-referenziali), assume un’apparenza debole e, per certi versi, obsoleta. Per altre vie và detto che non è semplice liquidare l’attualità postmoderna; tuttavia, dopo decenni, l’edificio teorico del postmodern sembra essere al suo limite. Anche perchè, con tutta probabilità, abbiamo assimilato le inequivocabili conseguenze negative di tale atteggiamento.
In letteratura, nelle arti visive, nel design e nell’architettura, le spinte al superamento delle convenzioni e le rotture stilistiche e formali, legate a spinte rivoluzionarie secondo le quali l’arte può contribuire alla formazione di una società migliore, convivono con atteggiamenti di conformismo e di ripetitività. La reazione e l’opposizione può essere allora letta come una radicale ricerca d’identità sociale, ricomprendendo in essa anche il suo contrario: la dis-identità.
Ma come è possibile confrontare la teoria della forma con l’area problematica del riuso, della riconversione, del riciclaggio, dell’ecosostenibilità? Ed è possibile, per questa via, dare una risposta alla domanda di qualità (formale, estetica, politica)? Abbiamo tentato di farlo adottando l’azione del piegare come “fattore di costruzione” di questa implicazione.
In primo luogo affermando che la piega lavora, primariamente, sull’aumento delle prestazioni del materiale (qualunque esso sia) attraverso l’irrigidimento e l’indebolimento. In secondo luogo stabilendo che la piega determina un metodo di assemblaggio che può costituire, da solo, un fine progettuale. L’azione di piegatura, infatti, determina una forma, anzi per meglio dire un corpo che attribuisce la fisicità organica all’oggetto, conferendogli armonia, ottenendola attraverso una notevole economia di mezzi e di metodo per raggiungerla.
Inoltre l’atto del piegare è utile anche per introdurre il concetto di forza agente nell’oggetto; in questo modo l’interno e l’esterno della piega non costituiscono solo limiti statici ma, come fenomeni prodotti da azioni, determinano l’involucro come parte dinamica del manufatto. Al limite la forzatura può portare ad una rottura, quindi ad una discontinuità e ad un’ulteriore declinazione dell’oggetto piegato. Questo è stato, in estrema sintesi, il nostro percorso nella piega come strategia di progetto.
Tuttavia questo scenario non è sufficiente a definire il contesto operativo nel quale s’intendeva agire, perché non si è ancora sottolineato sufficientemente che le implicazioni dell’atto del piegare, anche come snodo metodologico, vanno ben oltre le considerazioni effettuali. Il ripiegamento del caos indifferenziato (il fuori) nel pensiero progettuale (il dentro), nella lettura metaforica che ne fornisce Deleuze, è uno spunto assai importante per scoprire il valore della libertà progettuale. Questa posizione comporta, infatti, una riflessione sul pensiero progettuale considerato non solo come contemplazione di esternalità, estrazione di regole e infine applicazione di algoritmi a “strutture” esterne predefinite, a elementi di un tutto unitario. Come sostiene Davide Tarizzo, nell’introduzione al libro di Deleuze sulla piega, il pensiero (aggiungeremmo progettuale) è (e deve essere) libero; è un pensiero in cammino. Tale instabilità in divenire è iscritta nel reale e la piega (nell’immagine deleuziana come nella realtà fattuale del progetto) non è altro che un movimento caotico, che libera e rende possibile l’agire del progetto.

"La qualità della forma è qualità del linguaggio,
e la qualità del linguaggio è qualità politica"
(Enzo Mari)

C’è poi un ulteriore punto che và sottolineato. Il design è espressione di qualità, altrimenti non è design. Nella sfida per la ricerca della qualità il design iscrive, ormai completamente, la produzione industriale in quello che un tempo era considerato un “valore aggiunto” e che oggi è il valore primario e irrinunciabile degli oggetti. Diviene pertanto molto importante il ruolo di coloro i quali “pensano forme”. Una via per il designer è perciò quella di essere ideatore di forme che possano prefigurare nuove idee, nuovi contesti, nuove strategie di coinvolgimento della sfera psicologica e di quella sociale; con lo scopo d’incorporare qualità. Per fare ciò egli deve essere in grado di rappresentare tale qualità (per se stesso e per gli altri) non solo nella forma materiale ma anche nel contenuto simbolico. Mentre nella produzione artigianale la forma si realizza e modifica anche durante la lavorazione, determinando un’osmosi continua tra forma, linguaggio e contenuto sociale dell’oggetto; nel prodotto industriale è necessario un progetto d’interazione, che ne preceda, in un certo senso, la costruzione. Prescindendo anche da un approccio legato alla ricerca di soluzioni contingenti.
In effetti oggi il design si occupa di questioni di natura funzionale, tecnologica e culturale. Oltrepassando spesso i suoi limiti. Per questo il nostro approccio è stato quello di puntare all’essenzialità, alla sostenibilità, alla personalizzazione. Abbiamo ragionato come se ci trovassimo in uno studio di progettazione dove anche i problemi teorici si affrontano in maniera finalizzata e pratica. Con l’intento di predisporre una risposta. Tanto funzionale quanto “politica” che risolva il contingente ma, allo stesso tempo, ricostruisca lo scenario nel quale s’intende operare. Senza un approccio teorico unico ma mettendo in scena la complessità dell’iter progettuale.
Questo approccio prevedeva l’intento di responsabilizzare il progettista per quanto riguarda le soluzioni adottate in relazione ai prodotti. Nel percepire il legame tra consumatore e artefatto sia sul versante delle tecnologie che su quello della sostenibilità di prodotti e sistemi di prodotto.
Per poter fare questo era necessario capire l’evoluzione dei bisogni interrogandosi sul vero valore del design. In quest’ottica abbiamo riflettuto sul termine ecologia. Il senso che ci è sembrato più valido è quello indicato da Felix Guattari che lo esprime nel rapporto tra la sfera ecologica sociale, quella psicologico-comportamentale e quella fisica. Come osserva Lucien Kroll chi si concentra sugli aspetti fisici e psicologici o si accontenta di economizzare energia è certamente virtuoso ma rispetto all’ecologia è scandaloso perché spendere o economizzare denaro è sempre mercantizzare il pianeta. In altre parole ci è sembrato strategico enucleare quali comportamenti ci stiano imponendo gli oggetti che progettiamo/produciamo. Oggetti che ci assediano, ci soffocano, sono spesso falsi e lontani. Un dark side of design di oggetti tutti uguali che ci impongono gli stessi gesti e ci fanno dimenticare di sentire, di toccare, di pensare. Ma la verità siamo noi non le cose e il progetto non è vero se non ha a che fare con la vita.
Il design è una cultura trasversale non perché i suoi saperi siano compositi (e poggino su discipline diverse) ma perché rappresenta due mondi diversi: quello del misurabile e quello del non misurabile (emozioni, memoria, scoperta del nuovo, benessere, qualità). La nostra scommessa è stata quella di pensare che se la vita attuale è ridotta alla fenomenologia del muoversi e del fare può essere l’arte a riproporre all’industria il problema di un fine. Proprio in quanto la sua qualità estetica non è riducibile alla “qualità” di prodotto. Può essere per questa via che il rischio d’innovare e di prendere posizioni non conformistiche possa rientrare a far parte delle prerogative del progettista. Un sogno che diventa collettivo può avere il potere di orientare, attraverso il tempo, la crescita della tecnologia. Certo dobbiamo chiederci chi sarà a diffondere sogni: il poeta, il filosofo, l’artista, il designer oppure il mercante? Noi ci auguriamo che siano sempre più i primi e sempre meno l’ultimo.

 

L'autore
Marco Nardini (1961) insegna Modellazione presso il Corso di Laurea in Disegno Industriale (Facoltà di Architettura "L. Quaroni", Roma "La Sapienza"). Autore di studi e ricerche sull'applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche all'architettura. Ha ottenuto diversi premi in concorsi d'architettura, design e progettazione del paesaggio. Ha realizzato siti web, CD Rom e sistemi informativi per didattica e ricerca. Collabora di Arch&Web (vedi pagina sulla redazione della webzine) 

 

marco nardini
e-mail:marconardini@virgilio.it

 
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Ideazione e realizzazione Airaldi Giacomo - Luogo di pubblicazione: Italia - Hosting by: Aruba.it- Update: 06-Mar-2008